Scorci di vita del popolo di S. Lucia in Monte


L'aver preso in considerazione un arco di dieci anni, che va dal 1767 al 1777, per una indagine sulle condizioni economico-sociali di un piccolo paese del contado di Prato, corrisponde ad alcune ben precise ragioni.

Prima di tutte la possibilità di rilevare una situazione che si può definire ancora feudale, nella seconda metà del secolo che si caratterizza con la fine della nobiltà come classe dominante e l'affermarsi della borghesia, con tutte le conseguenze politiche, economiche, morali e culturali che il grande processo evolutivo comporta.
Un'altro elemento sufficientemente valido è l'accertamento della notevole disparità di condizione, allora esistente, fra la popolazione della città con quella, assai più misera, del contado.
Ultima, ma non di minore importanza agli effetti pratici, avere a disposizione degli stati d'anime redatti, con scrupolosità insolita, dal parroco Giovanni Ludovico Franceschini, che ci danno la possibilità di rilevare, oltre ai dati anagrafici, le attività esercitate dai censiti ed avere così il modo di fare un quadro economico-sociale del paese di S. Lucia in Monte. La tabella che segue espone i dati del 1767 relativi ai maggiori di 10 anni. Le denominazioni sono state trascritte come indicate negli stati d'anime.

Attività dei censiti Maschi Femmine Totale
Religiosi 1   1
Addette al governo della casa   20 20
Contadini 42 31 73
Garzoni di contadini 2   2
Pecorari 2 1 3
Prestatori d'opera (ai contadini) 8   8
Raccoglitori di governo (1) 4   4
Giardinieri 1   1
Casieri   1 1
Serve   2 2
Lavandaie   2 2
Bottegai 1   1
Carrai 1   1
Calderai 1   1
Mugnai 2   2
Muratori e falegnami 1   1
Calzolai 2   2
Garzoni di calzolai 4   4
Sarte   1 1
Calzettaie   2 2
Cartai (operai di cartiera) 2   2
Filatrici di panni (lana)   9 9
Tessitrici di panni (lana)   6 6
Filatrici di lino   4 4
Tessitrici di lino   5 5
Gualchierai 4   4
Garzoni di gualchierai e mugnai 6   6
Garzoni di cimatori 1   1
Canepai 1   1
Levatrice   1 1
Ortolani 1   1
Totali 87 85 172


(1) Raccoglitori di escrementi animali dalle strade. Gli escrementi venivano ceduti come concime naturale (governo) ai contadini che compensavano i raccoglitori con prodotti della terra.Dati del 1767:
Abitanti: Maschi n. 115
Femmine n. 112
Totale Abitanti n. 227.
Famiglie: n. 44 - Media componenti per famiglia n. 5,1.
Età Media: anni 28.
Popolazione di età inferiore ai 15 anni: 45%.
Popolazione superiore ai 60 anni: 7,6%.
La famiglia più numerosa: era quella di Francesco Fauli, gualchieraio, composta di 10 persone.
La famiglia più piccola: era composta di una sola persona: Maria Caterina vedova Cavaciocchi, filatrice di lino.
La famiglia più indigente: era quella di Francesco Cavaciocchi, vedovo, raccoglieva governo e « accattava » (elemosinava); aveva con sé la sorella Maria Elisabetta, storpiata.
L'abitante più vecchio: era Paolo Antonio di Simone Carboni che aveva 85 anni;
il più giovane: Maria Bartoli di un mese.
Le case censite: erano 39 di cui una disabitata.
Le ville erano quattro.
Nello stato d'anime del 1767 sono censite come « vacue »; successivamente vengono indicate come « abitate nel periodo della villeggiatura », sono:
- villa Verzoni (adibita attualmente a Ospedale geriatrico),
- villa Mannucci (La Torricella),
- villa Geppi (attuale proprietà Falsetti),
- villa del Balì Cambi.
Di quest'ultima non ci sono elementi certi per individuarla, ma riferendosi all'andamento topografico dei vari stati d'anime è ubicabile fra villa Verzoni e la chiesa. In questa località c'è una vecchia casa colonica e un adiacente fabbricato più distinto che ha l'accesso da un vialetto con cancello sulla strada. Sul muro di cinta, lato sud-est, sono ancora visibili alcuni elementi decorativi. Il piccolo appezzamento di terreno davanti il fabbricato (negli stati d'anime viene chiamato orto) si incunea fra le ex proprietà Verzoni e Geppi. La colleganza della famiglia Verzoni con quella Cambi è accertata da una memoria del parroco Zaccagnini, dove si legge: « La famiglia Cambi di Firenze, come erede donatario del.Signor Marchese Verzoni, dispensa due doti di 16 scudi e mezzo... ». Questi vari elementi concorrono a formulare l’ ipotesi che la villa del Ball Cambi si trovasse nel fabbricato sopra indicato.
Non si trova mai nominata la villetta abitata dai Casotti nella prima metà del settecento. Il sac. Leonello Maiani, su una copia del suo libro S. Lucia in Monte, in possesso del Cav. Rodolfo Guasti di Coiano, annotò di proprio pugno « Nella via erta che porta alla chiesa, stava in quella casa che fa angolo alla curva del medesimo inciottolato, Giobatta Casotti e li anzi, lavorò intorno ad un commentario ». È probabile che il Maiani basasse la sua convinzione su quanto lasciò scritto il parroco Pietro Orlandini nel 1851, riguardo a una servitù di acqua sorgiva a favore « ... delle case dette « Il Casotti » poste sotto la canonica di questa chiesa... ». È vero che nel luogo indicato dal Maiani esiste una casa dalle strutture interne attribuibili a dimora di livello non comune, ma è altrettanto accertato da documenti che, alla fine del settecento, la località detta « Il Casotti » è chiaramente indicata presso villa Verzoni. Pertanto è azzardata qualsiasi ipotesi sulla individuazione della residenza, dei Casotti, basandosi sulle carte dell'archivio parrocchiale. (n.r. detta via, oltre a “l’Inciottolo” è ancora denominato “Il Casone”).

I maggiori possidenti di terreni erano i Mannucci eredi dei Mugnesi o della Torricella, i Geppi e i Verzoni. La famiglia Conti, originaria di S. Lucia, possedeva diverse case. I monaci Olivetani delle Sacca possedevano 2 case con podere, le monache di S. Caterina di Prato 2 case, il Capitolo di Prato 1 casa.
La chiesa di S. Lucia aveva i seguenti beni:
a) nel popolo di S. Lucia:
un podere, con casa detto « Dei muri a secco », presso la chiesa, di circa 20 staiora;
- due pezzi di bosco di circa 8 staiora;
- una presa di terra sul Bisenzio, detta « La Strisciola », località il Mulinuzzo (Questo piccolo appezzamento di terreno non esiste più perché fu espopriato nell'ottocento per l'ampliamento della sede stradale della via Bolognese).
b) nel popolo di Coiano:
- una presa di terra di circa 18 staiora in località « Le Lastre »; - due prese di terra di circa 8 staiora presso Galceti.
Ad eccezione del podere le altre proprietà erano date “a livello”. Non c'è da credere che le proprietà portassero alla chiesa rendite apprezzabili, tutt'altro. Le entrate erano così scarse che non consentivano di eseguire i lavori di manutenzione e di restauro ai locali della chiesa, della canonica e della casa del contadino, che erano tutti in pessime condizioni, come risulta da inventari e perizie fatti in tempi diversi. La nobile famiglia Novellucci di Prato, che aveva il patronato della chiesa, non dimostrava concreto interessamento per le disastrose condizioni degli immobili. Le opere d'arte si stavano gravemente deteriorando. In un inventario il parroco Saccagnini scrive: « Dentro la nicchia vi è la statua di S. Lucia di rilievo fatta rifare di nuovo da me moderno Rettore perché l'antica era tutta rovinata ». Sembra chiaro che non si tratta di un semplice restauro. Probabilmente fu ordinata una copia della vecchia statua per cui quella attualmente esistente, attribuita al '400, non sarebbe l'originale. L'esame della tabella delle attività propone la seguente situazione:
1) Addetti all'agricoltura (contadini, garzoni di contadini, pecorai, prestatori d'opera, raccoglitori di governo, ortolani) = n. 92 pari al 53,4%
2) Addetti ai mestieri (carrai, calderai, mugnai, muratori e falegnami, calzolai, garzoni di calzolai, sarte, calzettaie, cartai, filatrici, tessitrici, gualchierai, garzoni di gualchierai e mugnai, garzoni di cimatori, canepai) = n. 52 pari al 30,2%
3) Addetti ai `servizi (giardinieri, casieri, servi, lavandaie, bottegai, levatrice) = n. 8 pari al 4,7%
4) Addette all'esclusivo governo della casa = n.20 pari al 11,7%È evidente che l'attività predominante era quella agricola; come in tutti i paesi del contado in quell'epoca, anche se S. Lucia era avvantaggiato nelle attività manifatturiere per la possibilità di sfruttamento delle acque del Bisenzio che da qui venivano convogliate nelle gore a mezzo delle opere di sbarramento e canalizzazione.Si riscontra che la comunità aveva una equilibrata e autonoma economia.
La distanza dalla città non era grande (3km.) ma tale da giustificare, considerando i mezzi di trasporto a disposizione, l'esigenza di avere in paese la disponibilità di approvvigionamento e di servizi dei modestissimi bisogni della popolazione. Va considerato anche che S. Lucia era il primo paese, risalendo il corso del Bisenzio, che si staccava nettamente da Prato. S. Martino e Coiano potevano già allora ritenersi allacciati, con relativa continuità di insediamenti, alla città.
- C'era una bottega di generi alimentari e osteria all'inizio dell'attuale via del Borgo, nominata « delle Cento Buche » di proprietà della famiglia Conti.
- I mulini e le gualchiere erano due.
- Esisteva una fornace e una cartiera.
- Può sembrare esagerato il numero dei calzolai e dei garzoni di calzolai (in totale n.6), ma non bisogna scordare che il consumo delle calzature doveva essere notevole poiché la gente si spostava necessariamente a piedi (l'uso della cavalcatura era riservato a pochi privilegiati) e le condizioni delle strade contribuivano all'usura. I calzolai lavoravano anche a domicilio e può darsi che alcuni prestassero il loro servizio presso case di paesi vicini.
- Una parte degli addetti ai servizi (serve, lavandaie) trovavano probabilmente impiego quando le ville erano occupate, per la villeggiatura, dai loro proprietari.
- Gli addetti all'attività tessile erano 35. La filatura e la tessitura erano esclusivamente esercitate dalle donne (n.24). Le due gualchiere, abbinate ai mulini, avevano 10 addetti.
Erano anni molto duri. L'arte della lana in Prato era in crisi in conseguenza delle leggi granducali emanate per proteggere l'industria fiorentina. E il contado ne fu più colpito a causa dell'altrettan to assurdo divieto pratese di lavorare pannine fuori della città. E’ quindi facilmente intuibile che l'occupazione dei lavoranti tessili fosse saltuaria e tale da provocare il grave stato di miseria dei pigionali.
Si parlava di carestia.
Nel 1769 Pietro Leopoldo, granduca dal '65, ordinava la denuncia dei prodotti agricoli e del bestiame, e nel 1770 impartiva sagge disposizioni sulla liberalizzazione dei commerci che dopo diversi anni, daranno nuovo slancio all'industria tessile pratese.
Nel 1773 muore il parroco Giovanni Ludovico Franceschini. Lascia un testamento dove, fra l'altro, si dispone: « Subito seguita la di lui morte, sia privatamente venduta tutta quella biancheria che al tempo di detta sua morte si troverà in essere di sua attinenza, tanto nuova che usata, compresovi tutti i rotoli di Panno, niuno escluso e eccettuato et il ritratto di essa et essi sia erogato in tante manuali limosine da distribuirsi da detto Signor Esecutore ugualmente, e per ugual rata al Capo di Casa di tutte le famiglie dei poveri pigionali del popolo di S. Lucia in Monte, niuno escluso, né eccettuato, e non altrimenti, nè in altro modo ».
La disposizione testamentaria del parroco a favore dei pigionali conferma la loro condizione assai più miserevole di quella dei contadini ai quali, più difficilmente, mancava il boccone di pane.Per poter usufruire di un modesto sussidio i pigionali accoglievono in famiglia i nocentini dell'Ospedale di Prato e di Firenze. Nel 1767 risulta un solo nocentino affidato; nel 1777 cinque famiglie ne ospitano uno ciascuna e qualche anno dopo gli affidamenti saliranno a dieci.Nel 1774 Federigo Alemanni, vescovo di Pistoia e Prato, invita i parroci a non sollecitare offerte ed a condurre vita parca, conforme alle difficoltà dei tempi. Doveva essere un Pastore molto rigoroso se ordina ai sacerdoti di non prendere a proprio servizio donne di età inferiore ai 45 anni; di non celebrare funzioni calzando « stivali, stivaletti e bozzacchini e calze colorate ». Proibisce le processioni notturne che potevano favorire l'incontro e il comportamento profano di uomini e donne.
Nel 1777 la Cancelleria di Prato comunica la condonazione di metà delle spese giudiciali ai poveri e l'esenzione totale ai miserabili. (…)Dallo stato d'anime del marzo 1777, che chiude il decennio preso in esame, si estraggono i seguenti dati sommari:

Abitanti: Maschi n.130
Femmine n.129 Totale n. 259
Case nella parrocchia n. 46,
Case vuote n.4,
Famiglie n. 50.
La famiglia più numerosa era sempre quella di Francesco Fauli che era salita a 16 persone;
la più piccola era quella di Gaspera di Salvatore Berti vedova Lenzi, casiera della villa del Balì Cambi.
La persona più anziana era Alessandra di Lorenzo Bini, vedova di Domenico Angelini, di anni 92.
Il più giovane, Angelo di Giuseppe Rosi aveva 4 mesi. Fu cresimato nella chiesa di S. Lucia il 5 giugno 1789 dal vescovo Scipione de ' Ricci.>E’ da sottolineare l'eccezionalità della visita pastorale del Vescovo riformatore, fatta a S. Lucia in Monte dopo due anni dai famosi tumulti scatenati contro di lui. Dal libro delle cresime della parrocchia, iniziato ai primi del settecento, si rileva che durante tutto questo periodo S. Lucia non riceveva visite pastorali e le cresime ai parrocchiani venivano impartite in Cattedrale o alle Pieve di Figline.
In occasione della sua visita Scipione de' Ricci fece fare il Battistero che fu benedetto il 9 agosto del 1789, ma l'anno dopo fu soppresso per ordine del Capitolo di Prato, appena il Vescovo dovette lasciare la diocesi.
Come si è constatato, S. Lucia era in quegl' ultimi decenni del Settecento, una piccola comunità rurale adagiata sulle pendici dei suoi poggi e distesa lungo il Bisenzio, a monte e a valle del Cavalciotto, che più tardi sarà elemento primario - e poi simbolo indimenticabile - dello sviluppo industriale del territorio pratese.
UMBERTO MANNUCCI Grati a Umberto Mannucci per averci offerto la possibilità di inserire questo suo studio pubblicato in “Archivio Storico Pratese” anno 1971 n. 42 pag 69-78